Venerdì 04 Aprile 2014, h 20:45
La croce di Cristo: un segno pesante da portare
Novara, Duomo
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Conferenza
Relatore: Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose
Introduce: mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara
A cura di: Comitato per il Progetto Passio
» Ciclo: I Quaresimali della Cattedrale
» Passio 2014: calendario

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CRONACA

LA CROCE DA “SEGNO PESANTE” A TRONO REGALE
Fratel Enzo Bianchi ha chiuso il ciclo dei Quaresimali della cattedrale

La croce di Cristo da “segno pesante da portare” a “trono regale” che testimonia l’amore capace di vincere la morte e generare vita eterna. «Il Signore ci chiede di abbracciare la croce non per amare la sofferenza ma per dire che anche nella croce vogliamo amare, come Gesù che ha fatto della croce luogo di testimonianza dell’amore per gli altri e di speranza nella resurrezione che vince la morte». Così fratel Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, ha concluso la sua riflessione sul brano della morte di Cristo dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19,17-30) nel quarto e ultimo dei Quaresimali della Cattedrale offerti da Passio, che si è svolto venerdì sera nel Duomo di Novara. Un incontro che è si è aperto sulle note dell’oboe di Stefano Calcaterra ed è stato introdotto dal vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, il quale ha illustrato la scena centrale della Parete gaudenziana del Sacro Monte di Varallo che raffigura la crocifissione di Gesù – riprodotta su un grande telo e illuminata in fondo alla navata –, affidandone il commento a fratel Enzo. Dopo la lettura del brano evangelico affidata alla voce di Antonio Costa Barbé, il priore di Bose ha sottolineato come è possibile leggere la scena di Gaudenzio Ferrari da due diverse prospettive, guardandola dal basso o dall’alto. La prima evidenzia la sofferenza: «vediamo una scena di dolore, di passione di morte, Maria la madre di Gesù che viene meno e deve essere sorretta dalle altre donne, i soldati che con la loro violenza bruta colpiscono Gesù e lo insultano». Ma nella seconda, alimentata dallo sguardo “altro” sulla Passione offerta dall’autore del quarto Vangelo, la prospettiva viene completamente ribaltata: «L’evangelista Giovanni ci mostra un Gesù che porta la croce senza aiuto, abbracciandola con fiducia. Collocata sul Gòlgota è in posizione centrale tra gli altri due crocifissi, essa appare un trono regale, come dice il titolo INRI, “Gesù il Nazareno, re dei Giudei”, che Pilato vi fece apporre. Gesù, che agli occhi degli uomini appare un condannato a morte, regna dalla croce e le scritta in latino, ebraico e greco ne proclama al mondo la vera identità, confessando che lui è il Signore. Le parole “ho sete”, che Gesù pronunciò per far sì che si compisse la volontà del Padre, sono state fraintese: non di acqua ha sete Gesù, ma del Dio vivente e ci invita a esserne altrettanto assetati. E la frase “è compiuto” che pronuncia nell’ultimo istante è il grido di vittoria di chi sa di avere vissuto l’amore fino all’estremo, fino a lavare i piedi a noi uomini, fino a donare la sua vita. La croce è sinonimo di dolore e sofferenza ma Gesù ne ha fatto un luogo di gloria dell’amore: ecco perché come cristiani dobbiamo evitare che nella nostra fede la croce prevalga sul Crocifisso». Il vescovo, a chiusura dell’incontro, ha sottolineato che il cammino dei “Quaresimali della cattedrale” si è mosso in crescendo per giungere al culmine con la riflessione sul mistero della croce. Il racconto del mistero pasquale è ora affidato al linguaggio della musica con l’appuntamento di venerdì 11 aprile dedicato alla “Passione secondo Giovanni”, l’oratorio per soli, cori e orchestra di Alberto Sala in onore del papa emerito Benedetto XVI che viene rappresentato in Duomo alle 20,45.



PRESENTAZIONE

“Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”. È l’iscrizione che Ponzio Pilato fa affiggere alla croce. Titolo regale apposto su un “trono” inconsueto, in cui la morte si trasforma in vita, l’odio in amore, la follia in santità, la carne in spirito. Sono i paradossi del Venerdì in cui si compie il mistero di un regno che ci attende, senza negare la nostra fedeltà alla terra.