La “Disputa” di Raffaello raffigurata nella Stanza della Segnatura dei Musei Vaticani non è una discussione come potremmo intendere oggi, cioè il dibattito su un tema per sostenere posizioni diverse e contrapposte. Dalle movenze e dall’espressione dei personaggi traspare un vivo interesse, certamente, ma la loro comunicazione esprime l’entusiasmo di rivelare un grande Mistero, quello che sta al centro della storia e che si comprende in una lettura teologica o di fede. Mentre la Scuola di Atene esalta la ricerca razionale, la Disputa del Sacramento esalta la fede e la teologia. Nelle due teorie che compongono la visione della Disputa, l’umanità che è giunta alla contemplazione di Dio è illuminata e rasserenata dalla Sua luminosa presenza. In Lui tutto si compie. Più mosso l’andamento e il clima di chi è ancora in viaggio, con una sete profonda di conoscenza e con l’inquietudine di una comunione non ancora raggiunta. Secondo Giovanni Reale, Raffaello ha attinto dalle Confessioni di Agostino. Agostino, dice Reale, ha una «fede forte, quasi rocciosa, che quando si legge pare di bere acqua purissima e dissetante». La Confessione per lui non è solo rivelare a Dio tutta la propria realtà come emerge dalle tempeste più tormentose e da una inquieta appassionata ricerca della verità, ma è anche raccontare che l’Amore infinito l’ha guarito da ogni sua ferita, da ogni sua spina. Dopo aver tanto cercato rincorrendo teorie e discorsi e scuole di pensiero, sempre al di fuori di sé, Agostino è sorpreso da una parola interiore che lo conduce al silenzio, all’ascolto, e finalmente alla Presenza che lo pone nel riposo interiore. «In questo colloquio uomo-Dio – dice Reale – troviamo la rivoluzione più grande: nasce il concetto di persona, che non esisteva nell’antichità».