Un bar e la sua vita quotidiana come sfondo per una riflessione sul senso del lavoro umano e sulle sue distorsioni. È quanto la compagnia teatrale Servi di scena propone nello spettacolo Caffè col morto. Cristiano, giovane titolare del locale, è in procinto di venderlo a una coppia di imprenditori, malgrado la contrarietà del padre, co-gestore dell'esercizio. Una visita dei due imprenditori mostra, grazie a una buffa successione di equivoci con la moglie e il cognato di Cristiano, come i loro obiettivi non siano un semplice riammodernamento del locale, ma la sua demolizione. Gestori e clienti si alleano così per rappropriarsi del bar, spingendo alla fuga gli acquirenti con la simulazione della morte di Cristiano e della sua prossima sepoltura fra le mura dello stesso. Nei dialoghi fra i protagonisti, e nei loro monologhi - rivolti alla platea in momenti di pausa dell'azione scenica -, il dramma della disoccupazione e di un sistema produttivo che troppo spesso ignora diritti e qualità personali dei lavoratori, in nome del profitto. Infine la morte, non più simulata ma reale, è evocata, esito estremo di uno sfruttamento che ignora anche le norme di sicurezza: il secchio, che il muratore Salvo issa e cala ripetutamente dall'impalcatura all'ingresso del locale, precipita bruscamente ed è portato in silenzio commosso al centro della scena. Si spengono le luci, ritornano in scena gli attori, e tutto si ripete, come un un sogno. Ma Salvo è morto davvero, o è ancora vivo? La domanda resta, priva di risposta, mentre i protagonisti danzano salutando il pubblico sulle note della canzone "Tutto quel che voglio è libertà".